Ambientato nella Pechino degli anni ’90, “La vita felice del ciarliero Zhang Damin” narra con penna leggera le vicende del protagonista e dei suoi congiunti in un susseguirsi di episodi ora comici, ora drammatici. L’intera famiglia, destinata per altro ad allargarsi nel corso dello svolgersi degli eventi, vive letteralmente stipata sotto un unico, angusto tetto, in una piccola porzione di siheyuan – una di quelle tipiche case pechinesi che negli ultimi decenni sono state abbattute per far posto alla nuova edilizia urbana, formate da un cortile circondato da quattro edifici un tempo destinati a ospitare un unico nucleo familiare. La casa dei Zhang costituisce a tutti gli effetti uno dei protagonisti del romanzo, e la sua storia, al pari di quelle degli altri personaggi, contribuisce a illustrare il periodo di passaggio dalla Cina del dopo Mao a quella dell’inizio della modernizzazione voluta da Deng Xiaoping.
Prefazione dell’autore
Questo non è il mio romanzo più breve, e tuttavia è il mio libro più piccolo, così sottile da lasciare un poco increduli. Scrivo da più di vent’anni e penso di aver scritto parecchie cose buone, e mi sorprende scoprire che, alla fin dei conti, questo volume è quello che è stato accolto meglio; all’improvviso ho la sensazione che questo mondo sia bislacco e imprevedibile, e che i romanzi lo siano ancor di più. Me la sono presa a morte per il fatto che i lavori che mi hanno impegnato di più non hanno fatto scalpore. Ora non mi arrabbio più. Ho capito che anche a scrivere senza farsi venire i crampi e senza sputare sangue si può fare un po’ di scalpore. Così sono andato alla pari con me stesso.
Non ho un’opinione precisa sulla felicità. È trovarsi una brava moglie? Accumulare un sacco di soldi sul libretto di risparmio? Far sì che tuo figlio diventi un bambino prodigio? Darle a qualcuno che si odia senza violare la legge? Insomma, cambio idea ogni momento, e sono tutte di una banalità senza pari. A causa di questo romanzo molti mi chiedono cosa sia per me la felicità; e io, a chi dovrei rivolgermi per avere una risposta? Un esperto ha scritto un Trattato sulla felicità in cinque volumi, ma si è buttato giù dalla finestra perché non riusciva a sopportare il prurito causatogli dal piede d’atleta. Queste sono domande che non vanno fatte, e insistere non porta a niente. Che ognuno ci pensi sopra quando sta sotto le coperte, e fine.
Qualcuno dice che il protagonista di questo romanzo è AQ2, e siccome io ho parlato bene di AQ il mio romanzo sarebbe un sedativo con cui vorrei anestetizzare tutti e farli diventare altrettanti AQ. Pensandoci bene AQ sono proprio io, me lo dico e me ne vanto, e allora? Che fastidio ti dà se sono contento e decido di darmi una sberla lo stesso? Già è difficile vincere sul piano materiale, sta a vedere che adesso non si può neanche ripiegare su una piccola vittoria spirituale, cosa vuoi da me?! Scherzo. Sto scherzando. Il mio romanzo non è un anestetico, e questa affermazione è vera. Se tutti diventassero AQ il mondo potrebbe non essere tanto bello, e se tutti diventassero Li Kui3 questo mondo sarebbe una pentola posata per terra alla rovescia.
Non so dire esattamente cosa sia la felicità, ma so dire con esattezza quale sia la più grande infelicità. Basta una parola: morire. Qualcuno continua a ripetere che essere morti è meglio che essere vivi, ma se gli dici di morire sul serio non fiata più. E se non apre più bocca tu continua a ripeterglielo, e vedrai come ti risponde. Direbbe di lasciarlo vivere. La vita è una banca dove tutti hanno depositato un bel gruzzolo. Non piangete miseria, non gridate ai quattro venti i vostri dolori e i vostri pruriti, che il giorno della resa dei conti è ancora ben lontano. Qual è la più gran disgrazia che possa capitare passeggiando per strada in una zona commerciale? Non è essere senza soldi, e neanche averli persi, è non trovare un cesso se ti scappa la pipì. Come lo si trova e ci si entra, pssss: esiste forse felicità più grande per gli occhi e per il cuore? I manuali insegnano che la felicità è accanto a te, il che suona banale e fa sorgere qualche dubbio. Eppure è vero, come è vero che i capelli non crescono sulle palme dei piedi, ma sulla testa. Ma allora, se la felicità ci sta accanto, e addirittura dentro, cos’altro andiamo cercando? Chi deve piangere pianga, chi deve ridere rida, l’importante alla fine è essere in pari con se stessi.
Leggete il mio romanzo, per favore, e decidete da soli se è un anestetico. Basterà che non vi siate sentiti male a sborsare denaro per comprare il libro, a sentirvi un po’ anestetizzati, e che abbiate intenzione di continuare a tirar fuori soldi, e mi avrete aiutato a raggiungere il mio scopo. Non ho altro per cui sentirmi felice. Al momento no.
Liu Heng 24 novembre 1998
Liu Heng (刘恒), nato in Cina nel 1954, è uno scrittore importante sotto due aspetti: da un lato, ha segnato il risveglio della corrente realista nella letteratura cinese alla fine degli anni ‘80, dall’altro è anche un eccellente sceneggiatore che ha contribuito a sviluppare un movimento simile nel cinema cinese. Questi due aspetti del suo lavoro sono in stretta simbiosi, un collegamento significativo tra letteratura e cinema piuttosto frequente in Cina. Il suo romanzo Hei de Xue (Black Snow; 黑的雪), sui problemi affrontati da un giovane delinquente dopo il suo rilascio dalla prigione, è stato trasformato in un film e La vita felice del ciarliero Zhang Damin (贫嘴 张大民 的 幸福 生活) è stato sceneggiato in una serie televisiva con lo stesso nome.
Segui la nostra pagina Facebook per tutti gli ultimi aggiornamenti!
CentrOriente / P.IVA 07908170017 / Privacy Policy / Cookie Policy
Commenti recenti