La politica della Cina Popolare è comprensibile solamente se inquadrata nella storia della Cina degli ultimi duecento anni: nella grande crisi, cioè, che vide la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali tradizionali sotto la pressione occidentale. Il libro parte dalla descrizione del chiuso mondo dell’Impero Qing, dominato da una burocrazia di letterati e latifondisti, contro il quale le potenze dell’Occidente organizzarono un massiccio attacco coloniale nell’intento di aprire i vasti mercati della Cina alle proprie merci e i suoi governi alla propria influenza politica. Analizzando le conseguenze dell’invasione e la “risposta” cinese a essa, dalla discussa ribellione dei Taiping e dai primi modesti tentativi di riforma della classe mandarinale alla rivolta dei Boxer e allo sviluppo del movimento repubblicano, McAleavy si sofferma anche sui mutamenti dei costumi, dall’arte alla cultura e alla stampa. Con la Rivoluzione russa del 1917 il marxismo passa la frontiera; comincia così a emergere una nuova Cina. Chiang Kai-shek fonda un regime nazionalista che si dimostra tuttavia incapace di trasformare la Cina in uno stato moderno e crolla sotto i colpi della guerra con il Giappone. In questo periodo Mao Tse-tung adatta le dottrine di Marx e di Lenin alle condizioni della Cina e, dopo aver sconfitto i rigidi dottrinari ed essersi sottratto alle pesanti interferenze staliniane, elabora una teoria e una tecnica della guerriglia rivoluzionaria che nel 1949 porterà lui e i suoi seguaci al potere in tutto il paese. L’ultima parte del libro mostra come il nuovo regime abbia spinto lontano le sue aspirazioni e la sua politica, e si chiude alla vigilia della Rivoluzione culturale.
Henry McAleavy: pagina dedicata su Wikipedia (in inglese)
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