UN
GESUITA IN CINA
Autore
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Giulio
Andreotti
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Editore
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Rizzoli,
Milano
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Prima
edizione
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Ottobre
2001
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Pagg.
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128
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Nel 1582,
quando il gesuita marchigiano Matteo Ricci lasciò Goia per raggiungere Macao,
la Cina e l’Europa erano mondi reciprocamente impermeabili e sconosciuti.
Trent’anni dopo, l’Europa del XVII secolo si sarebbe fatta un quadro preciso
della storia, della cultura, dei costumi della Cina (e ne sarebbe stata
potentemente influenzata) grazie ai Commentari della Cina di Ricci,
mentre i cinesi, da sempre convinti di essere l’unico popolo civile in mezzo
ai barbari, “ a poco a poco concepivano una grande opinione delle cose
d’Europa”, dopo aver apprezzato la scienza, la dottrina e la grazia di
Matteo, ed essersi stupiti dei “mappamondi, horiuoli, sfere ed astrolabij”
che aveva portato con sé. Per questa straordinaria opera di mediazione
culturale, Matteo Ricci non solo imparò il cinese /e lo padroneggiò
perfettamente, tanto da scrivere e
tradurre numerose opere in cinese), ma divenne cinese, si fece chiamare
Li Madou, e si gettò in Un arditissimo tentativo, almeno in parte riuscito, di
fondere gli insegnamenti di Cristo con quelli di Confucio.
Nell’ottobre 1986, Giulio Andreotti era in Cina in qualità di ministro degli
Esteri, e fu condotto a visitare la scuola centrale del partito comunista. Con
sua sorpresa, scoprì che nel parco della scuola c’era un tempietto con la
tomba di Matteo Ricci e di altri gesuiti, e il diplomatico che lo accompagnava
commentò: “Siamo dinanzi alla tomba dell’unico straniero che ci ha aiutato
a comprendere la nostra nazione”. Da allora, Andreotti è tornato più volte
in quel parco, e oggi, nel quarto centenario dell’ingresso dei gesuiti a
Pechino, ha voluto raccontare in questo medaglione l’avventura umana di Matteo
Ricci: una vicenda segnata da un’opera instancabile a favore della
comprensione fra i popoli, che continuerà a dare frutti anche nel ventunesimo
secolo.
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