Considerato un classico della cultura cinese, quasi
un’ideale prosecuzione del cammino indicato dal maestro Confucio sulla strada
della conoscenza, L’arte della scrittura è il capolavoro di un poeta
vissuto nel III secolo d.C., che fu anche funzionario di corte e valoroso
condottiero di eserciti. Ma l’opera del poeta-soldato Lu Ji non è soltanto uno
dei primissimi manuali di poetica appartenenti alla tradizione orientale:
perché se è innegabile che i versi liberi del discepolo di Confucio riescono
spesso a illuminare le segrete profondità da cui emerge una qualsiasi creazione
letteraria, è anche vero che tutto il libro vibra di una sapienza che va ben
oltre la semplice precettistica, e affronta la scrittura come una rigorosa
disciplina spirituale e quasi ascetica, in cui la parola diviene forma
privilegiata del viaggio interiore, della ricerca e di una più alta
comprensione di sé e del mondo: «Il poeta sta al centro / di un universo, /
contempla l’enigma // e trae nutrimento / dai capolavori del passato».
La scrittura, per Lu Ji, è una forma del viaggio che ogni
uomo, scrittore o lettore che sia, sta compiendo; e la scelta dei vocaboli,
l’invenzione di immagini e metafore, la misura in cui ogni discorso poetico
dischiude e rivela i suoi contenuti si caricano di una valenza assai più che
estetica: cuore e ragione trovano un punto d’incontro; la sintassi, il ritmo,
la musica diventano segno e veicolo di una coscienza più limpida e di
un’esistenza più piena. «Dal non essere nasce l’essere; / dal silenzio, / lo
scrittore genera una canzone»: questa è la meta cui aspira l’insegnamento di Lu
Ji. E L’arte della scrittura, frutto del volgere di una breve e
tormentata esistenza, si propone ancora oggi come un possibile viatico alla
saggezza orientale, il distillato di una ricerca spirituale e interiore nutrita
dalla millenaria tradizione culturale cinese.